Storie interrotte

Un’America trasfigurata dalla causa della giovinezza

Il progetto Storie interrotte, realizzato da Studiare Sviluppo in collaborazione con il DPS – MISE, consiste nella diffusione, con diversi mezzi di divulgazione e comunicazione (sperimentazione scolastica, produzione teatrale, trasmissioni radiofoniche tematiche, produzioni editoriali, audio-riviste, web), della conoscenza del ruolo, del pensiero e dell’azione di cinque figure-chiave originarie del Sud d’Italia, che hanno segnato la storia nazionale: Francesco Crispi, Francesco Saverio Nitti, Donato Menichella, Luigi Sturzo e Giuseppe Di Vittorio.
L’obiettivo del progetto nasce dalla constatazione che si è persa in Italia la consapevolezza del ruolo avuto dalla classe dirigente del Sud nella costruzione nazionale, della combinazione di visione e pragmatismo della loro azione e delle soluzioni che hanno dato alle apparenti dicotomie pubblico-privato, locale-globale. Tale rimozione ostacola il rinnovamento del territorio, mortificando i tentativi o le aspirazioni di una nuova potenziale classe dirigente. Si è voluto perciò restituire al Sud Italia, ai suoi giovani, ma anche al resto del paese, la consapevolezza del valore dell’azione di quei “padri fondatori”.
Il progetto ha raggiunto diverse tipologie di pubblico attraverso canali di comunicazione studiati ad hoc.
All’interno di questo progetto Paolo Patui è autore di quattro trasposizioni teatrali sulle cinque complessive; ovvero firma la versione teatrale che racconta la vita di Crispi, Di Vittorio, Sturzo e Menichella. I testi drammaturgici verranno affidati a cinque compagnie, ovvero:
“Scena Verticale” di Castrovillari (Cosenza), “Opera” di Melfi (Potenza), “Vesuvio Teatro” di Napoli, “Teatro Kismet OperA” di Bari, “Set Artisti Associati” di Palermo.
Storie interrotte viaggia in tutta Italia con varie repliche e raggiunge anche New York. Storie interrotte. Il Sud che ha fatto l’Italia divengono anche cinque audioriviste a partire dalle cinque puntate condotte da Michele dall’Ongaro e Francesco Durante. Registrate dal vivo all’Auditorium Rai di Napoli con la messinscena di dialoghi teatrali, schede storiche dei cinque protagonisti, reportage di attualità e l’intervento di ospiti.

Cantiere per la drammatizzazione

La drammaturgia si scrive in fucina: il dialogo tra Nitti e Fortunato

C’è materia per scrivere un dramma intero
In questa complessa operazione che prende il nome di “Storie interrotte” al dramaturg poco serve la classica penna o la più aggiornata tastiera da digitare: il foglio o se preferite lo schermo devono trasformarsi ben presto in una fucina, in un crogiuolo o in un distillatore se preferite, perchè qui si tratta di mettere mano a una materia a tratti persino antitetica a quella teatrale. Bisogna allora “riappallottolare” il tutto, sminuzzarlo, fonderlo in un crogiuolo che non so ben dire se sia quello di un metallurgico o di un orafo. So che alla fine come nelle più classica delle dottrine alchemiche, dopo tanto lavorare la materia, la risultante deve equivalere al generante.
Questo è ciò che accade con il primo (in ordine di tempo) dei dialoghi, inseriti nel progetto “Storie interrotte”, che mi capita sotto mano. Sono le pagine scritte da Lea D’Antone, che ricevo così come stanno senza riferimento alcuno a ciò che sarà di loro una volta messe in scena (anzi a ciò che in scena son già state): mi raccontano di un Nitti neo ministro che agli inizi del secolo breve incontra il suo vecchio maestro Giustino Fortunato. C’è materia per scrivere un dramma intero: c’è l’Italia, la storia, il meridione, Nitti acuto e determinato, Fortunato con un piede più nell’Ottocento che nei giorni suoi; ovvero due personaggi uniti dalle speranze di dare al sud un futuro che non sarà.
Insomma temi a iosa, idee, concetti, sentimenti. Ma inciampo subito in alcuni linguaggi per addetti ai lavori, sbatto ogni tanto su un dialogo che non è scambio di battute, semmai serie di dichiarazioni. Ne parlo con Lea. Poi provo a inserire in quel dialogo così appassionato alcuni piccoli segni drammaturgici.
Spezzo qualche frase, la seziono, ricompongo il significato e il concetto di un’idea in più battute, magari facendole rimbalzare tra un personaggio e l’altro. Poi ancora insisto perché tra i due amici non ci sia solo un sereno dialogare. Ci metto dentro i motivi di un momentaneo contrasto, in modo da creare una tensione su cui giocare con l’attenzione dello spettatore, la porto fino a un picco di disaccordo forse storicamente falso, eppur necessario a teatro, che nel nulla svanisce, che s’acquieta in un parlare che non è più fra due posizioni da difendere, semmai tra due persone che affetto e storia e sincerità mettono l’una a fianco dell’altra.
Poi penso ai dialoghi che verranno e che racconteranno le altre fasi della vita di Nitti e allora metto qua e là dei piccoli richiami, dei nomi, delle persone, delle situazioni che facciano da filo conduttore, che siano dei “ritorni” nei tempi futuri, che non separino i dialoghi in sezioni stagne, che li fondano insomma fra loro come ogni buona fucina vorrebbe. Per questo i riferimenti alla figlia di Nitti, Filomena, l’insistere su Salvemini, l’utilizzo infine di quella borsa da viaggio che comparirà anche in futuro. Un piccolo segno che allude a quel problema/risorsa che fu l’emigrazione del Sud (ma non solo) Italia, un riferimento a un uomo che troveremo sempre in luoghi diversi, un viaggiatore lungo le strade d’Italia e d’Europa, ma soprattutto un viaggiatore alla ricerca di idee, percorsi della mente più che delle geografia. Fino a quel chiudere il dialogo in cui non più si parla di questioni di storia o di politica o di economia; semmai solo (solo?) di se stessi alle prese con i proprio piccoli-grandi sentimenti.
Insomma nulla di più che i necessari interventi per dare a un dialogo straordinariamente ricco la scorrevolezza necessaria per arrivare alle menti di uno spettatore seduto nel bel mezzo di una sala teatrale.
Il resto già lo aveva fatto Leandra D’antone e con lei i suoi compagni di scrittura. Ridisegnare cioè i contorni di un personaggio che nell’Italia ha lasciato dei segni e che l’Italia non deve dimenticare.
Adesso passo il crogiuolo a chi dovrà rimescolare gli elementi e trasformare le morte parole in persone vive, parlanti, emozionanti.
Ma questo è già un altro mestiere.

Di Paolo Patui

Il depliant dell’evento
Paolo Patui