Siamo in tre. Di diversa età, diversa formazione, diversi gusti letterari e musicali. Viaggiamo ognuno con una valigia piena di libri. Ognuno la sua. Ricca di debolezze, idee, domande, parole da dire e da leggere, risate da distribuire, commozioni da condividere, curiosità da scoprire. Ci ritroviamo attorno a un vecchio juke-box pieno zeppo di canzoni di ogni tipo. Qualcuno sceglierà un titolo, farà partire un brano musicale inevitabilmente legato a un’epoca, un fatto di cronaca, un nome, un’atmosfera. Poi capiterà l’imprevedibile. Paolo Medeossi, Angelo Floramo, Paolo Patui (la PAP insomma) estraggono a turno e a piacere dal loro bagaglio ciò che il juke-box avrà loro ispirato: letture casuali si intrecceranno a canzoni, pensieri e parole, in un mosaico imprevedibile, non clonabile, diverso di sera in sera a seconda degli umori, delle suggestioni, delle provocazioni, per scoprire che leggere non è un’operazione oziosa e noiosa, ma piena di vita, imprevedibile e sorprendente come i desideri e i sogni che riempiono i nostri giorni.
Ci siamo ritrovati un po’ mogi, in una sera un po’ triste e piovosa, in un bar di Palmanova dopo la presentazione di un bel libro dinanzi a un pubblico assai scarso. Ci siamo guardati negli occhi io, Paolo Medeossi, Angelo Floramo e gli amici di Bottega Errante. E lì ci è venuta l’idea di fare in modo che proporre cultura e lettura trovasse una modalità meno accademica, più intrigante. Una ricetta un po’ diversa che prevedesse una buona dose di ironia. Troppo spesso presentiamo, leggiamo, parliamo di libri con un eccesso di sacralità che ogni tanto va smitizzata; con questa intuizione anche l’idea non di esibire una conoscenza letteraria bensì di estrarre dal nostro bagaglio personale titoli, libri. letture, pagine e autori a cui siamo affezionati per proporli al pubblico come un regalo, un dono. L’idea è nata da lì, ma andava rafforzata con qualcosa di suggestivo. Cosa più accattivante della musica e delle canzoni tratte anch’essa dal bagaglio affettivo di ognuno di noi tre per essere regalate al pubblico coinvolgendolo non solo in suoni, parole e ritmi, ma anche in memorie, ricordi, suggestioni? Nasce da qui il Jukebox letterario, un gioco spericolato e un po’ pazzo, perché noi tre quando ci sediamo dinanzi al nostro pubblico sappiamo solo una cosa: il tema, il filo conduttore della serata. A San Daniela era Scoprire, Ribellarsi a Cervignano, Andare/tornare a Romans d’Isonzo e poi via con i prossimi appuntamenti e i prossimi temi che il pubblico deve scoprire nel corso della serata. Altro non sappiamo: né che libri si sono portati dietro negli zaini i nostri compagni di viaggio, né quali musiche e quando la regia di Alessandro Venier e Simone Ciprian farà irrompere a tono e a tema nel corso della serata. Siamo così diversi eppure così complementari da poterci permettere il lusso di giocare sul filo della più improvvisata improvvisazione. Decidiamo chi sarà il primo a leggere e da lì a seconda della lettura si prosegue con commenti, agganci, allusioni, domande, collegando il tutto alla propria esperienza esistenziale e aggiungendo poi nuove letture, prese in giro, giochi e battute. Certo io e Angelo leggiamo un po’ di più, avendo maggiore dimestichezza con la lettura in pubblico, Paolo legge in modo più parco, ma è uno straordinario scopritore di testi poco frequentati e tesori nascosti e storie incredibile. Il fatto di portarci dietro molti volumi e molti titoli ci permette dal vivo di scartarne alcuni e estrarre dal magico zaino quelli più adatti per assonanza o per contrasto con la lettura o la storia precedente. La regia dal vivo di Alessandro Venier e Simone Ciprian ci spinge con le musiche verso alcune sfumature, dà il ritmo, taglia i discorsi troppo lunghi. Magari a me tocca più il ruolo del secchione schematico, che argina gli altri due, Angelo trasforma ogni parola o ogni autore in un miracolo letterario, Paolo scorazza nel mondo letterario con allusioni imprevedibili sui nostri giorni. È un’alchimia strana, difficile da descrivere. Bisogna venire, ascoltare, partecipare. Andarsene infine come da prassi con la domanda di rito con cui salutiamo il pubblico per un arrivederci felice, forse disordinato, di certo disarmante per la semplicità di una formula che fino a ora ha sempre lasciato il pubblico a bocca aperta.
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